Month: febbraio 2018

La tragedia dell’Est Europa è a Kiev

Kiev, 12 Febbraio 2018. Mentre pranza al ristorante Suluguni, Michail Saakashvili, ex presidente georgiano e nemico acerrimo di Putin, viene prelevato di forza da uomini in tenuta mimetica e trascinato via a forza in un furgone bianco. Il giorno dopo viene estradato in Polonia.
Non è un film di spionaggio, ma la complessa realtà che lega le rivoluzioni anti-russe degli ultimi 15 anni e evidenzia drammaticamente l’impossibilità dell’Est Europa di liberarsi dal morboso susseguirsi di dittature e oligarchie.
Cosa ci faceva l’ex presidente georgiano a Kiev? Chi sono le persone che lo hanno prelevato? Che ruolo ha Saakashvili nella ricostruzione dell’Ucraina dopo il colpo di stato del 2013-2014?
Cominciamo dall’inizio.
Molti ricordano gli eventi del 2013-14, iniziati con la protesta di Maidan contro il presidente filorusso Yanukovic. Dopo aver fatto dietro front su un accordo di associazione con l’Unione Europea che chiedeva riforme sostanziali del Paese in cambio di un prestito di 700 milioni di euro circa, Yanukovic si era gettato nelle braccia di Mosca che non chiedeva alcuna riforma scomoda ed era pronta a concedere cifre ben superiori. Il popolo allora, che vedeva nell’Europa un modello di libertà, scese in piazza. Occasione ghiotta per i nemici  interni ed internazionali del presidente Yanukovic e del sodalizio russo-ucraino. Con un colpo di stato, appoggiato dagli Stati Uniti e dagli intellettuali europei come Henry-Levy che definirono a priori, senza grandi analisi ma con grande slancio emotivo l’Ucraina «il cuore battente dell’Europa», dove gli oppressi finalmente si liberavano del giogo della dittatura di Putin. I governi e i media occidentali, che allora senza distinzione accolsero con favore la virata filo europeista di Kiev, hanno poi perso l’interesse sulla questione ucraina. Anche a causa di questa caduta di interesse, nel Paese tutt’ora imperversa la guerra civile, mentre Europa e Russia continuano a non trovare un punto comune. Ma nessuno si chiede cosa faccia Kiev?
I recenti avvenimenti sono molto indicativi di dinamiche politiche e sociali che ricordano la Russia degli anni novanta. L’Ucraina dopo la rivoluzione sembra essere un buco nero di corruzione e oligarchia alle porte dell’Europa.
Pietro Poroshenko, attuale presidente e businessman con una fortuna stimata di 700 milioni di dollari e il controllo di 3 reti televisive, ha un consenso del 15% nonostante la sua aperta politica di avvicinamento all’UE.
Perché non sono contenti gli ucraini, che ora possono godere di un regime visa-free per visitare le grandi città d’europa?
In realtà, la ragione principale delle proteste non era l’amore per le Istituzioni Europee o la fatica di procurasi un visto per vedere Parigi, ma l’attrazione per un’idea astratta di Europa, potremmo dire di Europa Occidentale, vista come un blocco di paesi liberi e di buon governo.
Costumi e modi di vivere concreti dunque, non istituzioni astratte.
Sembra che Poroshenko abbia interpretato male le proteste di piazza. A quattro anni dalla rivoluzione sembra che l’Ucraina sia pronta ad entrare nell’UE: sono state prese misure macroeconomiche che facilitano gli investimenti esteri e tutelano i capitali locali e l’accesso al credito internazionale. Allo stesso tempo l’Ucraina non sembra affatto pronta ad entrare in Europa: cresce il senso di diffidenza per le istituzioni e il malcontento per una corruzione percepita come mai così alta nella storia del paese. Secondo Transparency international pone l’Ucraina (di oggi, non di 4 anni fa) al 131 posto su 176 paesi.
Fatta questa premessa torniamo a Saakashvili. L’ex presidente georgiano (2004-2013) ha sempre tenuto un atteggiamento fortemente contrario a Mosca e ha iniziato le procedure di avvicinamento all’Unione Europea. Nel 2008 fu lui ad attaccare le truppe russe di stanza in Ossetia scatenando la guerra russo-georgiana. In patria  è ricercato per abuso di potere ed è stato condannato in contumacia, per aver coperto degli omicidi avvenuti sotto la sua presidenza. E’ anche noto per aver svolto un eccellente lavoro contro la corruzione nel paese.
Dopo la rivoluzione ucraina, Poroshenko aveva bisogno di un profilo come il suo: anti-russo, anzi personale acerrimo nemico di Putin (che aveva detto di volerlo impiccare) e paladino della lotta alla corruzione.
A Saakashvili viene così concessa la cittadinanza ucraina, poi viene nominato governatore di Odessa nel 2015 e per un anno svolge il suo compito di lotta alla corruzione e aumenta il proprio consenso popolare (ora intorno al 40%). Questo inevitabilmente lo ha portato ad un crescente conflitto con Poroshenko. Saakashvili non ha nascosto l’intenzione di competere con il presidente per governare l’Ucraina.
Senza troppo riguardo per i diritti umani, Poroshenko gli ha revocato la cittadinanza (ora Saakashvili e’ apolide), e lo ha estradato in Polonia.
Ecco l’Ucraina che stiamo accogliendo in Europa.
Le riforme mancate di Poroshenko del sistema giudiziario e la timida e forse non disinteressata lotta alla corruzione e agli abusi di potere non hanno affatto dato al popolo ciò che il popolo voleva.
Le riforme finora hanno aperto una strada economica fra Bruxelles e Kiev, senza eliminare i difetti fondamentali di un paese corrotto e profondamente illiberale.
L’estradizione di Saakashvili è forse da vedere come un simbolo della corruzione che torna nel paese?
I ricchi di Kiev stanno meglio e la popolazione sta come prima, ma doppiamente frustrata a causa di una rivoluzione mancata.

I popoli sono come i malati a letto, diceva un filosofo francese scettico delle rivoluzioni: ogni movimento che fanno per cambiare posizione da loro l’illusione che staranno meglio.

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Kiev 12 Febbraio. L’arresto di Saakashvili

Le manifestazioni anti-Putin sono state un successo…per Putin

Quando nel 1786 Caterina la Grande, fresca di conquista della penisola di Crimea,  portava i suoi ospiti internazionali, soprattutto ambasciatori libertini e intellettuali francesi a visitare la Russia meridionale su lussuosi battelli lungo il fiume Dnepr, si potevano ammirare sulle sponde del fiume grandiose ville, paesi interi che prosperavano, artigiani intenti al lavoro, pastori con le loro greggi e reparti dell’esercito organizzati in parata che salutavano il passaggio del Sovrano. Che meraviglioso sviluppo e che prosperità poteva mostrare la Russia nonostante la turbolenta annessione della Crimea e i costi della guerra! Eppure non era così: i villaggi erano di cartapesta, e i pastori e i soldati erano attori che recitavano una parte.

Il 18 marzo 2018 la Russia voterà per eleggere il Presidente, che, al netto di qualche caso imponderabile, sara sicuramente Vladimir Putin. Poche settimane fa, il principale oppositore di Putin, Aleksei Navalny, è stato escluso dalle elezioni per precedenti processi giudiziari.  Quest’ultimo ha dunque indetto delle manifestazioni pacifiche per “boicottare” le elezioni. Lo scopo era dimostrare che, anche se non può votare nessun candidato forte, esiste una Russia che non vuole più Putin al potere. Va detto: Navalny è effettivamente incandidabile, e la manifestazione del 28 gennaio non è stata autorizzata. Certo, la legge in Russia serve a rendere legale l’autoritarismo, ma questa è un’altra storia e necessiterebbe una più ampia analisi.

Veniamo ai fatti. Il giorno 28 gennaio 2018 alle ore 14 inizia la marcia pacifica proposta da Navalny lungo la principale strada di Mosca, la Tverskaya, che sfocia sulla Piazza Rossa. Le manifestazioni contemporaneamente avvenivano in tante città russe, ma era da Mosca e San Pietroburgo, città dove ha sede il potere politico e dove sono concentrati gli strati di popolazione più colti e più sfavorevoli ad un ennesimo mandato di Vladimir Putin, che ci si aspettava un grande movimento di protesta. Grande non solo perché il paese sta tornando indietro verso un autoritarismo senza precedenti dal 1991, ma anche perché era l’ultima opportunità di dissentire e di influire sul voto: a elezioni concluse, e per i sei anni successivi, non ci sarà più possibilità di esprimere dissenso influenzando i risultati delle elezioni o il comportamento del Governo di Mosca.                                                                             Vado alla manifestazione accompagnato da un’amica, M., che da subito esprime grande prudenza, mi dice di non fermarmi dove ci sono i gruppi di persone che manifestano, ma semplicemente di camminare avanti e indietro. In questo modo, continua M., se interrogati dalla polizia, potremmo dire che non partecipavamo alla manifestazione, ma che stavamo semplicemente camminando per fare shopping. Io capisco il livello di tensione che sta vivendo M. e non voglio obbligarla; dopo aver fatto avanti e indietro per venti minuti, mi congedo con una scusa e continuo da solo. La timidezza di M. nel manifestare mi racconta però della poca dimestichezza del popolo russo colto a dialogare con mezzi democratici.

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Delle telecamere a 360 gradi spuntano da speciali camionette della polizia. Un altoparlante intima ai manifestanti  radunati a piazza Pushinskaya di “rispettare l’ordine e lasciar libero il passaggio”

Ma i timori di M., sono fondati? Davvero la polizia può prendere me e tenermi in galera 48 ore come mi dice? La polizia in effetti arresta subito Aleksei Navalny uscito dal taxi per guidare la manifestazione, e altre figure chiave del movimento di Navalny; ma per il resto, calma piatta. Dato che alle 14.30 al popolo di opposizione mancava già il suo leader, il risultato è una marcia di poco più di mille persone, a gruppetti disomogenei, che gridano “Russia senza Putin” , “Putin ladro” ,”la Russia sara libera” o “vogliamo elezioni che siano elezioni” e altri amabilissimi slogan, sotto lo sguardo distratto di cordoni di polizia che non intervengono mai, se non per prelevare individui chiave o per punire lievi infrazioni, rilasciando subito i fermati. Non una vetrina rotta, non un’auto incendiata, non un ferito. Ottimo! Ma, viene da pensare, questa è l’ultima grande opportunità di opporsi a Putin e si vedono solo fiori portati nelle mani, cartelli di protesta anonimi ed educatissimi, un sostegno verbale divertito da parte di avventori che non hanno osato prendere parte alla marcia e che quindi fiancheggiano i manifestanti in marcia, camminando volontariamente nel verso opposto. Sembrerebbe, se non fosse per queste stranezze appena citate, una vera festa di democrazia partecipativa.  Vladimir Zhirinovsky, folcloristico leader del partito di opposizione “fabbricata” dal Cremlino, decide che l’occasione è buona per un bagno di folla, e scende dalla macchina a vetri oscurati. Viene subito circondato dai manifestanti che lo provocano: “Se sei davvero opposizione, vieni a marciare con noi!” Zhirinovsky rifiuta e si difende così: “Voi siete solo giovani e volete liberarvi dei vecchi…quando sarete vecchi voi, vorranno liberarsi di voi i giovani.Tutto li.” Non un commento sulle politiche del governo, sulla repressione contro i giornalisti, sulla situazione internazionale…risale in macchina e l’autista riparte.

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Esigiamo elezioni legittime

I numeri a fine giornata sono da fiera di paese: 4,700 persone in tutta la Russia, secondo i dati del Ministero dell’Interno, non smentiti dall’opposizione. Il picco a Mosca, dove i manifestanti sono stati poco più di 1000. Sopratutto giovani, e qualche vecchio. Generazione di Twitter e nostalgici dell’USSR. Una vecchietta di 80 anni, brandendo un tulipano, mi racconta che è li perché non può andare avanti con la sua pensione di 60 euro al mese. Non basta, penso, questa piccola vita a rovesciare un potere granitico e misterioso: che ora nemmeno si oppone alle proteste, non ne ha più bisogno.  I giovani che sono cresciuti con Putin, che oggi votano, si rendono conto che hanno avuto il pane grazie a lui, che ha ristabilito l’ordine dopo il torbidi e violenti anni ’90, e grazie ai proventi del petrolio ha creato una classe media. La libertà che Putin ha chiesto in cambio del pane, è un desiderio complesso, pieno di dubbi, senza un leader, senza un progetto chiaro.

Putin può dormire sonni tranquilli: il suo principale oppositore è stato messo fuori gioco e coloro che sono contrari a lui e hanno il coraggio di dirlo sono 4,700 cittadini su 140 milioni.

E’ morta la società civile, o forse non è mai nata.  Nel 2011 quando il duo Putin-Medvedev, dopo apposite modifiche costituzionali, si scambiava posto alla guida del Paese, cominciava a nascere una società civile, che scese in piazza a centinaia di migliaia. Ma c’era una grande differenza: l’Occidente allora era un modello. Oggi, dopo le sanzioni che hanno ciecamente colpito un popolo permaloso e patriota e dopo l’elezione di Trump in America, la società civile in Russia è sola, non ha appigli nel mondo libero, a cui ha sempre guardato come ad un faro. E dunque Putin ha già vinto e dominerà la Russia per altri 6 anni.

Chissà cosa hanno in mente i giovani e i vecchi che gridano, senza speranza alcuna,”la Russia sara libera”. I vecchi non la ricordano, e i giovani non riescono a immaginarla. E quella che sembra una festa bella di democrazia, è una tristissima farsa, come quei villaggi di cartapesta al tempo di Caterina, che raccontavano una Russia gloriosa e benestante e nascondevano la verità: la guerra di Crimea costa a tanti e fa bene a pochi.

 

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Vladimir Zhirinovsky, leader di LDPR, un partito di opposizione “fabbricata”, viene invitato a seguire la folla in marcia. Rifiuterà